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Il “New Yorker” sull’iPad: paradossi di un successo

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(tp) Trattandosi di un settimanale, non se ne dovrebbe parlare in questa sede. Ma, a pensarci bene, quale settimanale più del New Yorker assomiglia a un libro (e di quelli ben scritti)?

Quanti scrittori sono diventati enormemente famosi, dopo il debutto su quelle colonne, e quanti hanno scelto di continuare a scriverci, visto il quasi insuperabile prestigio?

Perciò, eccoci qui a riportare quanto raccontava qualche giorno fa l’International Herald Tribune a proposito della versione per iPad del New Yorker. A quanto pare, l’app che ha debuttato la scorsa primavera ha toccato i 100.000 lettori. Di questi, 20.000 hanno sottoscritto l’abbonamento annuale da 59,99 dollari (42,1 euro). Gli altri si dividono in due categorie: da una parte 75.000 (su un milione) di abbonati alla versione cartacea, che possono accedere gratis alla versione per iPad; dall’altra i lettori che hanno “comprato” singoli articoli per 4,99 dollari (3,5 euro).

Ma la cosa più interessante non è questa.

La cosa più interessante è il tipo di New Yorker che l’editore ha deciso di trasferire su iPad: e cioè una versione il più possibile simile a quella cartacea. Ogni nuova poesia pubblicata può anche essere ascoltata direttamente dall’autore che la recita, gli articoli frutto di un corposo lavoro di documentazione possono rimandare alla lettura di determinati documenti, ma fondamentalmente tra il New Yorker di carta e quello su tablet le differenze sono (volutamente) pochissime.

E questo perché? Perché l’intenzione era quella di creare “un’app tutta incentrata sulla lettura”, per usare le parole di Pamela Maffei McCarthy, caporedattore del giornale. Niente  interattività o il meno possibile (“solo quella che aggiunge qualche valore”): l’attenzione primaria resta dedicata ad articoli impaginati nel modo più leggibile e pulito possibile. La versione per iPad, dunque, rappresenta un’evoluzione molto minore di quella – per esempio – sul web, dove sono presenti numerose sezioni a pagamento (per esempio “The Talk of the Town”) e sulla quale compaiono con più frequenza articoli sull’attualità più stretta richiesti e scritti espressamente per la Rete.

“Perché la gente legge il New Yorker?” si chiede il suo direttore, David Remnick. Che si risponde: “Per leggere”.

Come dire: non state a guardare il supporto su cui ciò avviene, ma il fatto che avvenga. Poi, certo, magari aiuta il fatto che (come nota l’articolista dell’Iht Jeremy W. Peters), ci sia una certa somiglianza tra la classe socio-demografica dei lettori del New Yorker e quella dei possessori di iPad: un reddito annuale superiore ai 70.000 euro, per esempio. Ma anche il fatto che si tratti di un tipo di persone che, attraverso l’iPad, vanno a caccia più di notizie scritte che di video o giochi.

“Sono fermamente convinto che ci sia un vasto settore di pubblico che sull’iPad vuole solo e soltanto leggere sul serio” conclude l’analista Andrew Lipsman. Traduzione di ehi book!: se smettessimo di preoccuparci delle “terribili” conseguenze che l’arrivo dell’ebook potrebbe avere sulla nostra cultura e iniziassimo seriamente a pensare solo ai contenuti?


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